Un cittadino italiano pubblicava sul proprio profilo di un notoย social networkย un commento con cui ha inteso criticare l’intervento dell’alloraย ministra dell’integrazioneย Cecile Kjenge, sostenendo che le proposte da quest’ultima avanzate (ovvero di garantire alla popolazione zingara la possibilitร di ottenere una casa del patrimonio immobiliare pubblico, la cittadinanza ed un lavoro) non erano per nulla condivise dalla maggioranza degli italiani, concludendo con la frase “rassegni le dimissioni e se ne torni nella giungla dalla quale รจ uscita”.
A tale commento รจ seguita la querela per diffamazione, atteso che la denunciante si รจ ovviamente sentita lesa nellโonore e della dignitร personali, specie in un momento in cui il quadro di dileggio nei suoi confronti era piuttosto diffuso. Il Tribunale di Trento prima, e la Corte dโappello poi, condannavano lโimputato per il reato diย diffamazione, aggravata dalle finalitร di discriminazione razziale.
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Proponeva ricorso per cassazione il condannato, sostenendo innanzitutto che tra il suo commento e le espressioni rivolte alla stessa Kjenge da altri (peraltro sempre evocanti la medesima aggettivazione animalesca) non vโera alcun punto di contatto, e sottolineando poi che la valenza idiomatica dellโespressione da lui utilizzata era equiparabile ad altri modi di dire di uso corrente ed utilizzati nel linguaggio comune (come, ad esempio, โtorna tra i monti!โ), da tutti compresi nel loro significato traslato o figurato ed utilizzati, con tono sarcastico, nei confronti di persone di cui si ritiene, a torto o a ragione, che dovrebbero occuparsi di altro, a prescindere dal colore della loro pelle.
La Suprema Corte, V sezione penale, conย sentenza del 19 febbraio 2018, in linea con le conclusioni rassegnate dal P.G., haย respinto il ricorso.
I giudici di cassazione hanno infatti osservato che il legittimo esercizio delย diritto ย di critica, pur non potendosi pretendere caratterizzato dalla particolare ย obiettivitร propria del diritto di cronaca, non consente comunque gratuite aggressioni alla dimensione morale della persona offesa e ย presuppone sempre il rispetto del limite della continenza delle ย espressioni utilizzate, da ritenersi superato nel momento in cui le stesse, ย per il loro carattere gravemente infamante o inutilmente umiliante, ย trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato, la cui ย persona ne risulti denigrata in quanto tale.
Ciรฒ premesso, il Collegio ha affermato che sussiste il delitto di diffamazione quando ย tale limite sia oltrepassato, trasformando il legittimo dissenso contro le ย iniziative e le idee politiche altrui, in una mera occasione per aggredirne ย la reputazione, con affermazioni che non si risolvono in critica, anche ย estrema, delle idee e dei comportamenti altrui, nel cui ambito possono ย trovare spazio anche valutazioni e commenti tipicamente โdi parteโ, cioรจ ย non obiettivi, ma in espressioni apertamente denigratorie della dignitร e ย della reputazione altrui ovvero che si traducono in un attacco personale o nella pura contumelia.
Nel caso di specie, secondo i giudici di Piazza Cavour รจ indubbio che l’espressione di cui si discute, lungi dal rappresentare una radicale critica all’azione politica della ministra, รจ trasmodata in un vero e proprioย attacco gratuitamente umiliante nei confronti di quest’ultima ed inutilmente denigratorio della sua dignitร , intesa come percezione, innanzitutto, della propria ย dimensione umana, e della sua reputazione. Non, quindi, di una censura sugli obiettivi politico-amministrativi perseguiti dalla ย persona offesa si รจ trattato, ma di un attacco personale, che, facendo leva sulle origini africane della Kyenge, le ha attribuito caratteri ย propri degli esseri che vivono nella giungla (dove lโimputato la invitava a ย fare ritorno).
Il fatto che la Corte di merito abbia inquadrato il commento dell’imputato nell’ambito di una polemica politica allora in atto (definita in sentenza โsguaiataโ), che ha visto ย quale vittima proprio la Kyenge, da altri assimilata ad una scimmia ย antropomorfa, non costituisce una illogicitร . ย Dunque evidente รจ la concezione sottesa allo sprezzante “invito” , teso ad allontanare la persona offesa dal contesto degli uomini civilizzati. Secondo la Corte di legittimitร , allora, appare del tutto superfluo stabilire se l’imputato avesse voluto assimilare o meno la Kyenge ad una scimmia, come ritenuto dai giudici di merito, peraltro con logico argomentare, posto che l’affermazione dellโimputato va collocata nel contesto mediatico, sorto intorno alle dichiarazioni di un senatore sulla somiglianza della Ministra ad un “orango”, non a caso riportate dallo stesso imputato nel testo inserito nel suo profilo.
Quel che rileva, infatti, รจ l’evidente eย gratuito giudizio di disvaloreย espresso dallโimputato, fondato sull’appartenenza della Kyenge allaย razza degli africani di pelle nera, che, secondo costui, ha nella giungla e ย non nella societร civilizzata, il suoย habitatย naturale, per ragioni storiche ย ovvero perchรฉ assimilabile agli animali, come le scimmie, che ivi vivono.
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Per queste specifiche ragioni la Corte ha pertanto ritenuto di condividere la decisione dei giudici di appello anche sulla sussistenza dellaย circostanza aggravante, della diffamazione per ragioni di discriminazione razziale.ย Tale circostanza, data dalla finalitร di discriminazione o di odio etnico, razziale o religioso รจ infatti configurabile non solo quando l’azione, per le sue intrinseche ย caratteristiche e per il contesto in cui si colloca, risulta intenzionalmente ย diretta a rendere percepibile all’esterno e a suscitare in altri analogo ย sentimento di odio e comunque a dar luogo, in futuro o nell’immediato, ย al concreto pericolo di comportamenti discriminatori, ma anche quando essa si rapporti, nell’accezione corrente, ad un pregiudizio manifesto di ย inferioritร di una sola razza, non avendo rilievo la mozione soggettiva ย dell’agente, come nel caso in cui nelle espressioni denigratorie sia ย contenuta la parola โnegroโ.
Fonte:ย Massimario G.A.R.I.
Rodolfo Murra
http://www.ilquotidianodellapa.it/_contents/news/2018/febbraio/1519644069536.html