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DENUNCIA PER DIFFAMAZIONE: NON ESISTE IPOTESI DI REATO SE SI PRESENTANO GLI SCREENSHOT COME PROVA – OCCORRE UNA COPIA AUTENTICA

DENUNCIA PER DIFFAMAZIONE : NON ESISTE IPOTESI DI REATO SE SI PRESENTANO GLI SCREENSHOT COME PROVA – OCCORRE UNA COPIA AUTENTICA
Scritto da gestore

Presentare uno screenshot come prova in una denuncia per diffamazione online non serve più a nulla! La controparte potrà semplicemente disconoscerne la validità sulla base del principio di cui all’art. 2712 cod. civ ed affermare che il documento fornito non è valido e e la denuncia verrà subito archiviata perchè il giudice affermerà che senza una prova certificata e forense non esiste ipotesi di reato.

Aumentano in tutta italia le sentenze nelle quali si afferma che in giurisprudenza la mera copia cartacea degli screenshot o stampe che riproducono i messaggi o post online, non assurge alla dignità di prova legale, essendo necessario che tali riproduzioni siano validate nelle forme di legge, come avviene per le copie autentiche pagine web [ click qui ] che Informatica in Azienda può fornirvi.

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Citiamo in merito, una recente sentenza 2021 tratta dal sito https://www.telemessina.it/ con oggetto “Diffamazione tramite social network

Il giudice, nella sentenza del tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto in provincia di Messina, scrive infatti “che è “esclusa l’esistenza del delitto di diffamazione se le prove sono documentate con screenshot in quanto i messaggi postati su Facebook – così come chiarito dalla giurisprudenza – la mera copia cartacea degli screenshot o fotocopie che riproducono i messaggi controversi, non assurge alla dignità di prova spendibile, essendo necessario che tali riproduzioni siano validate nelle forme di legge, al fine di ottenerne non soltanto la veridicità, ma anche la datazione ed il blog al quale sono associati”. La Suprema corte – si legge ancora nel dispositivo – “ha infatti escluso la qualità del documento se non raccolto con garanzie di rispondenza all’originale e di riferibilità ad un determinato periodo di tempo” . Dunque- secondo il giudice – “è necessario che il denunciante corrobori l’atto querelatorio o per il tramite del salvataggio del c.d codice sorgente ed allegato in forma digitale tramite consulenti in informatica forense, oppure con copia conforme rilasciata da notaio, cancelliere, segretario comunale o da altro soggetto previsto dall’art. 18 del p.p.r.n 445/2000, che possa registrare la pagina web”. Tutti i file – conclude la sentenza – “devono quindi possedere una firma digitale con marcatura temporale, in modo da essere associati in maniera univoca: solo in questo caso si sarà in presenza di una prova certificata e forense del testo che si ritiene diffamatorio, che consenta nel caso di sostenere validamente un’accusa nell’eventuale fase dibattimentale. Nel caso in questione, sono state allegate semplici copie cartacee prive dei requisiti … le copie cartacee di post visibili a tutti su Facebook ed estraibili da chiunque anche mediante una semplicissima annotazione di servizio non sono sufficienti. Solo così è possibile sostenere l’accusa in giudizio”.

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