Lโarticolo 12 del Regolamento recante il codice di comportamento dei dipendenti pubblici (Dpr n62 2013) recita:ย Il dipendente si astiene da dichiarazioni pubbliche offensive, nei confronti dellโamministrazioneโฆ osserva il segreto dโufficio e la normativa di tutela e trattamento dei dati personali.
Ed ancora,ย il dipendente deve svolgere i propri compiti nel rispetto della legge, proseguendo lโinteresse pubblico, senza abusare della propria posizione, rispettando i principi di integritร , correttezza, buona fede, proporzionalitร , obiettivitร , trasparenza, equitร e ragionevolezza.
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Obblighi questi prescritti dagli articoli 2014 2015 del Codice Civile.
Le violazioni delle suddette norme, possono costare il posto di lavoro.
A stabilirlo,ย da ultimo in ordine di tempo, il Tribunale di Busto Arsizio,ย che non la sentenza n. 62 del 20 febbraio 2018, ha ritenuto sufficiente un tweet di un dipendente, nel quale si manifestava disprezzo per lโazienda datrice, per confermarne il licenziamento.
Lโavvento dei social network, di cui spesso in maniera inconsapevole, facciamo un uso spropositato e superficiale, ha spostato il concetto di pubblico, di diffamazione a mezzo stampa, e sempre piรน spesso post di facebook e tweet sono finiti nelle aule di tribunale, con sentenze a favore o meno del dipendente e non del tutto uniformi.
Ad esempio, se il Tribunale di Busto Arsizio ha legittimato il licenziamento del dipendente di una compagnia aerea, che con un tweet aveva palesemente mostrato disprezzo per lโazienda datrice e per gli amministratori di questa, evidenziando come il post andasse oltre il diritto di critica,ย รจ anche vero che unโaltra sentenza ha permesso il reintegro dellโallieva dell’aeronautica che aveva postato su facebook una foto in cui simulava una sfilata, affermando โcosรฌ si lavoraโ, rivolto al suo datore di lavoro. Per il giudice lโatteggiamento era provocatorio ma non tale da giustificare il licenziamento.
Il quadro รจ abbastanza confuso e complesso, spesso le sentenze prescindono dal giudizio personale e dal riuscire a delineare quel confine perfetto tra il diritto di critica e la diffamazione.
Proviamo quindi, rifacendoci alle sentenze, a tracciare una linea, di quando รจ legittimo il licenziamento e quando non รจ giustificato, sempre in tema di esternazioni fatte a mezzo social network.
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Licenziamento legittimo
Quando la critica, espressa in post sui social, palesa evidente disprezzo verso lโazienda, gli amministratori, rappresentanti e potenziali partner di questa,ย va oltre, valicando il confine, fino alla diffamazione.
(Tribunale di Busto Arsizio sentenza n.62 del 19 febbraio 2018)
Quando attraverso il post sui social si ingiuria il datore di lavoro,ย menzionando nome e cognome. Il licenziamento รจ giustificato dalla perdita del rapporto di fiducia tra dipendente e datore di lavoro, indispensabile per la prosecuzione del rapporto datoriale.
(Tribunale di Napoli n. 8761 del 15 Dicembre 2017)
Diffamazione dei colleghi.ย Il dipendente che posta sui social frasi diffamatorie nei confronti dei colleghi.
(Tribunale di Milano, decreto 27552 del 29 luglio 2013)
Licenziamento non giustificato
La condotta del dipendenteย che mette in cattiva luce lโazienda o i colleghi sui social,ย deve essere contestata nellโimmediato, diversamente non giustifica il licenziamento
(Tribunale di Larino, sentenza n.1282 4 agosto 2016)
Eโ illegittimo licenziare il dipendente che commentanegativamente sui social, lโarticolo che parla della propria azienda datrice,ย se il commento รจ strutturato in maniera generica e non specifico.
(Tribunale di Parma, sentenza 27 del 9 febbraio 2018)
Le frasi scritte sui social dal dipendente sindacalista non possono essere valutate come quelle di un dipendente qualsiasi. Al sindacalista รจ riconosciuto il diritto di critica diverso o superiore rispetto agli altri dipendenti.
(Tribunale di Milano, sentenza 3153 del 28 novembre 2017)
http://www.infermieristicamente.it/articolo/8954/attenti-ai-post-sui-social-legittimo-il-licenziamento-ecco-quando/